provato a cena a Giugno 2015
Mi ero ripromesso che mi sarei goduto semplicemente la cena, ma non ce l’ho fatta.
Perché si andava a vedere i funamboli in piazza o, includendoli in un contesto più ampio, si va a vederli al circo (soltanto in quelli dove non usano gli animali mi raccomando) assieme ai loro colleghi? Perché gli artisti da strada, e a volte anche i musicisti da strada, riscuotono spesso grande successo?
Se il funambolo non rischiasse di perdere l’equilibrio e cadere e il lanciatore di coltelli di colpire l’assistente; se i giocolieri non si avvicinassero al limite per cui tutto quello che lanciano in aria è facile che caschi per terra e non torni nelle loro mani; se i clown non aggiungessero trovate impreviste ed estreme – che fanno saltare gli schemi logici – alle classiche torte in faccia (che son classiche ore ma quando vennero usate per la prima volta erano rivoluzionarie); ecco se non succedesse tutto questo il circo sarebbe una cosa monotona dove nessuno andrebbe, il funambolo camminerebbe lungo un marciapiede, il lanciatore di coltelli affetterebbe panini e i clown sarebbero a giocare a tressette nel circolo del paese.
I piatti di Piergiorgio Parini sono tutto quello che vogliamo dal circo, perdono l’equilibrio e lo ritrovano poco dopo o alla forchettata successiva, si reggono su movimenti complessi e per noi mortali impensabili, trasformano ciò che per lui è classico in qualcosa di nuovo.
Si trasformano loro stessi con trovate sottilissime in altro da sé.
Perché quest’ultima affermazione? Perché a distanza di quattro mesi son tornato e ho assaggiato piatti nuovi e piatti che avevo assaggiato nelle cene precedenti, quattro per l’esattezza, e mentre il primo era giustamente immutato gli altri avevano raggiunto con piccoli cambiamenti nuovi livelli di gusto probabilmente più adatti alla stagione (o forse no), erano tornati su loro stessi per darsi un’altra veste.
Ed era cambiata anche la sala. Tranquilli tutto immutato con Fausto che gira e suggerisce vini, alza le sopracciglia e fa un cenno e Paola che sorride e porta grazia e gentilezza ovunque si muova; ma era la clientela questa volta ad essere diversa o io avevo trovato soltanto casi particolari. Famiglie con figli adolescenti curiosi di assaggiare, persone qui per la prima volta che non danno il senso, a me che li osservo, di non sapere dove si trovano e che non rimandano indietro – ma come si fa? – il risotto. Gente normale.
È stata questa la cena migliore che ho fatto qui? Non lo so, dire la migliore qui non ha senso perché come sempre i piatti sono cambiati rispetto alle altre volte, c’è continuità e bellezza in ogni portata, c’è un pensiero che è sempre più definito (ma questo penso dipenda anche da me che riesco ad entrarci dentro sempre meglio) e a questo si aggiunge che sono parziale, che Parini per la mia parte gay rappresenta l’uomo che vorrei avere nella cucina di casa mia e che preferisco la cucina autunnale e invernale a quella dei mesi caldi.
Al solito ottimo il pane
Il vino “della casa”. In versione vino arancione con una lunga acidità, secco anche se ha una certa puzzetta iniziale (lo stesso problema del primo vino bevuto qui qualche anno fa dello stesso produttore) che svanisce velocemente.
Provato in una versione molto simile. Questa si avvicina di più ad un Moscow Mule da mangiare con un inserimento accurato di foglioline di menta.
Carpaccio di gamberi rosa servito, vivaddio, a temperatura ambiente con il mandarino a dare freschezza e caratteristici aromi ed il fico a restituire rotondità. Il sesamo nero aggiunge dei punti di tostatura in un gioco di sapori tra il crudo e la finzione del cotto.
Il merluzzo è stato uno dei piatti più intriganti con un pesce che ha mantenuto tutta la sua umidità e si è arricchito dell’intensa cottura sul fuoco. Verde e resinoso in perfetto bilanciamento.
La seppia è appena scottata e la salsa concentrata del suo nero. Il melone sembra stonare ma in realtà la dolcezza e la salinità dell’elemento marino lo fa sembrare una sorta di prosciutto e melone.
Il riso in bianco è stato il primo risotto assaggiato qua. Al solito grandioso con il chicco lasciato moto al dente ma ricoperto da una manteca più che perfetta.
Ne ravioli di orzo tostato e faraona si concentrano i sapori tostati, la cupa dolcezza di un piatto rustico e signorile con una salsa a base di vino rosso, rape rosse e melograno che ha dentro una freschezza decisa e necessaria.
L’animella è una mutazione di quella assaggiata precedentemente. Identica a se stessa nella cottura, anche se in questo caso pecca secondo me di una cottura un po’ più lunga, e nel profumo di burro guadagna l’aroma caratterizzante del pepe rosa e del miso di susine che lasciano la bocca pulita.
Il pomodoro al sugo è estremo. Ma partiamo dal contorno con la salsa allo squaqquerone che vuol portare grassezza e un’acidità diversa e la polvere di arancia che ha il compito di spezzare l’intensa freschezza del frutto. Un’acidità che travalica l’eccesso senza risultare però faticosa e che diventa persistenza infinita che si aggrappa alla bocca e cancella tutto quello che c’è stato prima in una consistenza che è quasi da pezzo di carne.
Il piccione è sempre un signor piccione e questa volta prende vita grazie alle ciliegie sotto aceto e a dei microscopici tocchi di rafano.
Al solito il predolce gioca sull’incrocio tra vegetale e frutta, tra quanto è per noi dolce e quello che nella nostra testa è altrove durante il pasto. Salsa di mandorla amara che smorza l’intensa albicocca e cipolla che ha perso la sua pungenza ma di cui rimane la consistenza appena più morbida e una nota caratteristica lievissima.
Chiedo di assaggiare qualcos’altro rispetto al Sempreverde e arriva questa nuvola di acqua tonica che spinge l’amaro del pompelmo rosa rendendo formidabile la dolcezza del sorbetto al sambuco. L’avrei fatto ancora più amaro.
Il dolce dell’addio è un bignè con crema di cicoria e felce. Il sapore delle caramelle mou senza il caramello.
Ristorante Povero Diavolo
chef Pier Giorgio Parini
Via Roma 30, Torriana (Rimini)
tel 0541 675060
http://www.ristorantepoverodiavolo.com