Una cosa che odio, quando invito qualcuno a cena, è che mi venga chiesto: “E poi chi c’è?”. Non sono fatti che ti riguardano e chi invito a cena a casa mia lo decido io.
Io non lo chiedo mai e non voglio che mi venga chiesto. Metto in conto il fatto che potrei capitare assieme a persone a cui non resto particolarmente simpatico e viceversa. Ma è capitato tanto raramente che è un evento trascurabile.
E che non si preoccupino! Mi rompo le scatole anche troppo a definire accoppiate che non creino imbarazzi.
Il principio a cui do la precedenza è che i miei amici sono persone intelligenti e accorte e che certe dinamiche le sappiano e non le ignorino.
E pretendo lo stesso trattamento. Non ho assolutamente intenzione di rovinare i preparativi di qualcuno, il nostro appetito ed il lieto discorrere perché in casa aleggia uno spettro di tensione e d’imbarazzo.
Altro fatto è quando ti arrivano le voci che qualcuno si è offeso perché quella sera non era stato invitato.
Anche queste minchiate da adolescenti mi irritano. E non poco. Ma posso comprenderle per gli adolescenti; per degli adulti che gravitano intorno ai quaranta no nella maniera più assoluta.
Ma c’è chi lo fa. Uno soprassiede e li inserirà nel turno successivo e, meglio, quando deciderò di invitarli.
Casa mia è adeguata per sei persone e con un po’ di fatica per otto. Chiamare più persone vuol dire spostare i mobili e smontare il divano. Non lo faccio e non lo (ri)farò mai.