Mi è arrivato quindici giorni fa il secondo commento. Devo dire che è emozionante quando arrivano. L’avvertimento che mi giunge sul cellulare dice soltanto che ce n’è uno ed io non so se si tratta di qualcuno che mi dice qualcosa di carino o che mi dà del coglione.
L’ansia è il mio stato primario, seguito da gola, accidia, procrastinazione e rarissimo sturm und drang. E questi tizi che mi mandano messaggini mi caricano della prima anche se vorrei rispondere con l’ultima. Siano i loro complimenti o accidenti.
Ma poi emozionato per “il secondo commento”? Dopo un anno soltanto due commenti?
Non m’interessa. Come dico in Chi sono questo blog l’ho aperto prima di tutto per me, per prendere segno, per costringermi ad un impegno costante (più o meno) che vada al di la del lavoro e della famiglia. Come auto-terapia contro il logorio della vita moderna.
Per adesso nessuno dei miei amici è al corrente della mia attività, nessuno dei parenti. Nessuno. Sono entrato in clandestinità. Altro che anonimato per i recensori Michelin! Qui è anonimato totale.
Ma dimmi la verità… ti piacerebbe farlo di mestiere? Vivere di questo? Certo, sarebbe bello poter fare questo per campare. Ma quanto t’impegni perché avvenga? Poco, devo essere onesto, come quando faccio progetti su come spenderei i soldi vinti ad una lotteria a cui non gioco mai.
Figuriamoci. Ho da lavorare; non ho tempo per stare a pensare a quale ricetta elaborare per le festività, alla presentazione del piatto e alle luci delle foto. Quando lo faccio è venerdì sera o uno dei due giorni seguenti. E anche in quel caso vengono presentazioni normal-mediocre. Però il sapore è buono.
E poi ce ne sono già tanti che, mi pare, scrivono di cibo non capendoci nulla e che si fanno pagare per dire nulla… anzi per ripetere sempre le stesse cose. Mi paiono come quei professori universitari che non solo costruiscono la loro carriera su un solo argomento (che è lecito) ma che scrivono e riscrivono lo stesso libro da inizio a fine carriera… ne conosco diversi.
Ci avete fatto caso? Ogni anno arriva il freddo, ed il termine più usato nei siti d’attrazione diventa comfort food. Come se l’immagine di famiglie allegre che mangiano zuppe, i caminetti in sala da pranzo, le colazioni e i pranzi al sole delle 10 del mattino se le potessero permettere tutti.
Torna il caldo e i temi diventano: meglio il pesce dell’Adriatico o del Tirreno, la Provenza o la Garfagnana, le vacanze gourmand, il miglior gelato della penisola e come trattiamo male i turisti stranieri.
Mi sembrano mia nonna novantenne che ripete sempre le stesse cose, in maniera ciclica. Comfort food, le guide, le classifiche dei cibi, bio o super bio, calorie e la stagionalità. E mia nonna la guerra, il nonno, chi è morto di recente, gli acciacchi.
Poi qualche polemica giusto per richiamare lettori. Ma mia nonna polemiche non ne fa e in più, a Natale, lei mi da ancora 50 euro.
E da questo script non si esce.
In sostanza diventare un food blogger, scrivere per sfogo o per necessità, per piacere, per lasciare una traccia?
E chi se ne importa? (Che cosa brutta stavo per scrivere all’inizio e qui in fondo. Poi mi sono ravveduto: “Chi se ne frega” io non lo scrivo che per questa cosa la penso come Don Milani).