Provato a cena a giugno 2012
Avete mai letto il Trattato di Funambolismo di Philippe Petit? Leggetelo. È un passaggio fondamentale come, avendone la possibilità, andare a cena a “Il Canto”. In questa mia seconda visita (la precedente era capitata due anni fa, prima che iniziassi questo blog) ho percepito la cucina di Lopriore così. Funambolica, d’istinto e di cuore, non semplice. Esattamente come la prima ma, a differenza di quella, capace di darmi talmente tante emozioni e sensazioni da sentirmi esaltato.
Riflette una scelta precisa di libertà della quale non tutti legittimamente apprezzano i risultati ma, temo, verso cui pochi fanno uno sforzo di comprensione. Ma partiamo dall’inizio.
A cena da solo; abbandono la famiglia al mare e vado. Avevo prenotato venti giorni prima prevedendo tutti gli incastri. La camera non posso permettermela e dovrò perdermi la favolosa colazione che viene proposta in questa vecchia, splendida, certosa. Ripiego per un luogo poco distante ad un prezzo molto (moltissimo) più alla mia portata.
Essere a cena da solo dopo tanto tempo mi mette bene. Non avrò l’obbligo di conversazione, di condivisione. Saremo io e i piatti dello chef soltanto, il campanile e l’immensa gentilezza di tutto il personale che si prende cura di me per le tre ore e più di cena.
Questa seconda volta, ho deciso, sarebbe stata l’occasione per valutarlo meglio, per decidere se dare ragione a chi lo giudica un bluff o chi lo giudica un genio o quantomeno uno dei migliori chef italiani. E avete già capito come è andata a finire.
Mi siedo al tramonto nel mio tavolo accompagnato da chi si occupa della carta dei vini. Tavolo ampio, sedia comodissima, il campanile della certosa illuminato dal rossore del sole che viene giù. Intorno a me (lontano da me vista la distanza che divide i tavoli) soltanto persone che parlano lingue diverse dalla mia.
Mi portano subito l’acqua e prendo un bicchiere di bollicine per aperitivo. Assieme un pacchetto di grissini prodotti da loro che resterà praticamente intatto. Ci tengono molto che sia mangiato solo con le mani. È un gioco per far passare il tempo, una piccola entrata nell’attesa delle portate. Polvere di semi di zucca e foie gras con mela verde e liquirizia.
Il menú che mi viene presentado manca di qualunque indicazione rispetto a quello che mangerò, due anni prima non era così, questo lascia alla cucina più libertà e a chi siede al tavolo la possibilità di dire ciò che non può o non vuole mangiare garantendo un percorso personalizzato per ciascun cliente. Il menù si chiama in maniera a mio giudizio piuttosto poco fantasiosa “Oggi” e sono nove portate a € 130,00.
L’omaggio di cucina è fresco, in perfetta sintonia con quello che c’è nel bicchiere e con i piatti che passeranno sopra alla mia tavola. Granita d’acqua, cozza cruda, limone e semi di cumino. Con la granita che blocca le papille gustative e piano lascia spazio al mare della cozza rinfrescata dal limone e intensificata dal cumino aprendo ad un leggero sentore di salmastro che ritorna con una discreta persistenza. Ma questo è l’unico piatto che racconterò perché poi si parte e ogni piatto è una miniera di piacere, stupore e divertimento per i quali mi pare inutile dilungarmi.
La classica Insalata di alghe, erbe aromatiche e radici, piatto tanto amato dallo chef e di cui si è già parlato e sparlato, gustata in questa situazione solitaria esplicita tutto il suo senso. Certo è un’insalata scondita, ma la varietà di erbe e il gioco di sapori, l’opera di pulizia e di preparazione che fa nella bocca e nello stomaco sono fondamentali.
In sostituzione degli asparagi con cioccolato bianco e caviale c’è il trittico Liquirizia, mallo di noci e caviale. Quando lo assaggerete provate a scomporlo e sentirete che potenza i tre sapori, quasi da dare del pazzo a chi ve lo ha proposto, poi cominciate col gioco di assemblaggio e vi renderete conto dei perfetti equilibri.
Gli Scampi, mandorle e fagiolini verdi sono cotti alla perfezione. Sono grandissimi come dimensioni e come portata. Dolce e vegetale della salsa fatta di fagiolini crudi. Una goccia di mandorla amara per ricordarvi dove siete.
A questo punto arrivano pane e burro. Entrambi buonissimi.
La Royale di aglio al pistacchio è l’unico piatto completamente tondo che troverete in notevole contrasto con i piatti precedenti. Ma nonostante gli ingredienti fresco e intenso. Crema di aglio, pistacchi e una lastra di zucchero aromatizzata all’anice.
Poi è il momento dell’anatra in due servizi. Petto di anatra, miele al pino, genziana e acciuga per iniziare. Non cotta a bassa temperatura per secoli grazie al cielo ma consistente, c’è da usare i denti e da masticare e soprattutto da cercare l’equilibrio personale tra l’amaro potentissimo della genziana e il miele.
In seconda battuta Fegato e cuore di anatra al cardamomo dove la cottura rossa delle interiora non deve spaventare i più delicati. La temperatura è perfetta e la spezia ingentilisce i toni intensi che possono avere le interiora.
Per ultimi arrivano i Ravioli di cipolla dolce profumati all’origano che sono disarmanti nel loro intensa profumo; cuore liquido di cipolla (attenzione che in uno c’è volutamente più olio che negli altri), nel fatto che l’origano è presente in uno soltanto (a voi scegliere quando provarlo) e da una leggera salsa alla mozzarella.
Poi, prima del dolce, a pulire la bocca Olio extravergine di oliva, rosa, pompelmo e pomodoro. Piatto apparentemente semplice e che ti dice che tutto sta per finire. Che mi dice, a me che non amo particolarmente i dolci, che la parte buona della cena è conclusa.
Prima del dolce viene servito Caffè e sambuca ed una fetta di cocomero rinfrescante.
Poi il colpo di teatro che grida “Ed invece no. Col dolce si finisce come si è iniziato”. The verde, rabarbaro e fragole di bosco è ragguardevole, entusiasmante, carico di quei sapori niente affatto scontati che Lopriore sa addomesticare. Non è dolce, o meglio, non è dolce che stucca ma il rabarbaro ed il the verde riescono a mantenere in equilibrio questo ultimo colpo.
La cena si conclude con il caffè (questa volta quello espresso) ed il classico vassoio di dolcetti di commiato.
Petit scrive come avvertimento al Trattato di funambolismo:
Il filo non è ciò che s’immagina. Non è l’universo della leggerezza, dello spazio, del sorriso.
È un mestiere.
Sobrio, rude, scoraggiante.
E chi non vuole intraprendere una lotta accanita di sforzi inutili, pericoli profondi, trappole, chi non è pronto a dare tutto per sentirsi vivere, non ha bisogno di diventare funambolo.
Soprattutto, non lo potrebbe
Ristorante Il Canto della Certosa di Maggiano
chef Paolo Lopriore
Strada di Certosa 82, 53100 Siena
tel 0577 288180
fax 0577 288189