Alcuni miei amici educatori sostengono che le mamme siano le principali cause del ritardo nello sviluppo dell’indipendenza dei figli. I padri d’altro canto appaiono spesso come messi li a candire, fautori di libertà troppo spesso poco pensate.
Ma in questo caso il problema nostro, mio, sono le madri. Quelle biologiche e quelle acquisite. Possibilità di intervento su entrambe uguale a zero. Più dure dell’acciaio, più insistenti di un venditore di contratti telefonici, più costanti del pi greco, capaci di memorizzare tutto e di ricordare soltanto quello che vogliono.
Dal punto di vista gastronomico è un inferno. Con loro esiste soltanto una possibilità: non dire mai, mai, e ripeto mai, che qualcosa che vi hanno preparato è buono perché, se lo fate, state pur certi che loro vi prepareranno solo ed esclusivamente quello che voi avete apprezzato. Per il resto della vostra vita.
Adoro il fritto; un fine settimana al mese vado a pranzo da mia suocera. Il menù è costantemente questo: crostini con salsiccia e stracchino, crostini neri, tortellini in brodo (d’Inverno), tagliatelle al sugo (d’Estate), coniglio e/o pollo fritti (senz’osso), champignon trifolati. Le stesse paste del solito pasticcere (molto buone) tutte le volte.
Quando vado a cena da mia madre la storia non cambia: affettati misti, carbonara, carne al fuoco, patate saltate in padella, gelato del solito gelataio nei soliti tre gusti per le creme e tre per le frutte.
Vi assicuro che le variazioni sono talmente impercettibili che non lasciano traccia.
Con questo non voglio sputare sul piatto in cui mangio, le ringrazio profondamente dell’impegno e della fatica che spendono sopra i fornelli per dare soddisfazione. E la colpa è soltanto la mia, di quella maledetta volta in cui ho detto che le cose mangiate erano buonissime.